Disquisizione semiseria sul conflitto tra parole in libertà e metodo critico.
L’attuale panorama degli studi, scendendo di tenore al di sotto di quelli improntati a un sicuro metodo filologico e specialistico, pone l’accento su una vexata quaestio relativa allo sconfinamento verso l’approssimazione anche da parte degli apporti divulgativi o peggio nell’alveo della divulgazione che intende paludarsi dei drappi, non propri, presi in prestito dal metodo critico.
Fortunatamente non avviene in tutti i casi e in tutte le fattispecie, ma si compie tuttavia sempre più spesso.
Forse come indice dei tempi.
Di sicuro non è sufficiente millantare credito sciorinando, a mo’ di sequela in rapida ascesa tonale e luminosa, quasi come in uno spettacolo pirotecnico, le citazioni sempre e comunque, pertinenti o improprie. Affastellate le une sulle altre in modo incongruo, poste in bilico senza nessi reciproci apparenti o sostanziali, si può andare avanti per la durata di una prolissa comunicazione in presenza oppure on line, riempiendo le colonne di inserti culturali, pubblicando testi su tematiche già ampiamente dissodate dalla letteratura specialistica barattandole per proprie e per inedite. Ci si può riconvertire in ricercatori di ambito lontano dai propri studi, specializzazioni e dottorati, esercizio didattico, qualora svolti, acquisendo una sicumera professorale, da accademico di lungo corso, con presunta sprezzatura e negligente noncuranza per le forme di introito, abbrivio, trattazione in medias res, conclusioni ed epilogo. Si infliggono micidiali teorie salmodianti di non corrispondenze, di nessi laschi e di confronti claudicanti, confidando nell’incultura dell’ascoltatore o del lettore. Non ha alcun peso la reale coerenza fra termini estremi della comparazione, fra circostanziate, perché comprovate, corrispondenze tra opera e sua civiltà di produzione. Iconologia suona sempre bene, studio iconologico sulla fenomenologia della scimmietta ridens, cattura l’attenzione dell’imbonitore di circo, così come quella dello zoologo o dello studioso attento ai risvolti allegorici sottesi all’approvvigionamento di noccioline per alimentare i primati del bioparco. Ogni risvolto rubro di pieghe una rubedo, ogni cane, anche in atto di minzione, una sacra venatio, ogni pupo ipertrofico un ludus puerorum, ogni donna alle prese con una lettera una virgo legens come sinonimo della vita contemplativa, ogni lattaia, domestica con boccole pendule dalle orecchie, una vita activa, misuratrice, in ragione dell’ampiezza delle maioliche di Delft, dell’ampiezza della stanza domestica cattolica in un paese di stoici calvinisti. Ogni figura virginale addolorata per la morte del figlio, raccolto in grembo o ai suoi piedi, deve lanciare a forza un grido di pietas là dove la pietà della nostra lingua italiana non coincide affatto con quello latino di pietas e dunque non si può impetrare al cielo alcuna pietas se è di misericordiosa richiesta di indulgenza e soccorso che si vuole parlare e non di rispetto, sia della legge umana che divina.
Il pio Enea, di memoria virgiliana, non era definito così perché chiedeva costantemente pietà.
Ogni selva è una silva silvestre, astrazione lemmatica dal significato contrapposto all’errare in un deserto, qualora coincida con l’errare come in una selva irta di puntuti tranelli che, come arti polidoriani possano essere scerpati da nuovi incauti viaggiatori di Tracia.
L’errare nella selva e avventurarsi nei meandri della decodifica stilistica, allegorica, formale, contenutistica, diventa pertanto abito congruente all’errare per tentare la decodifica dei significati. E allora si può affermare che il contenuto di un contratto, le sue tragiche e annose postille, si possano contrarre come invece si è ridotto il solo progetto, normato da quelle postille. La regolamentazione tra le parti, che è legge tra le parti, viene interposta, sostituita, intercalata con disinvoltura, rispetto all’azione artistica.
Per un incongruo gioco delle parti lo strumento giuridico combacia con l’intervento artistico. Diventa allora legittimo parlare di un riottenimento di una riammissione ed elencare quasi tutti i pittori del gotico cortese, floribundi di patronimici e località di provenienza che fanno fare sempre una bella figura e innervano di dovizia lessicale l’intercalare stanco. Rinfrancate con l’ascendenza familiare e l’appartenenza territoriale i nomi più impropri in ogni circostanza diverranno grati e pregni. Lo si deve fare pertanto quando quei calligrafi italiani, fiamminghi o tedeschi non abbiano mai avuto a che fare con la materia trattata dall’oratore al quale si gonfia la gola nel solo atto di pronunciarne i nomi, nonché l’ego, già cronicamente e senza giustificazione ipertrofico.
Concludo col trasvolo di fiore del male in fiore del male per affermare che ho fatto mio il metodo acritico di elencare luoghi, locali, alberghetti di secondo e terzo rango pur di sciorinare in appello tutti i miei conoscenti, rivali, amici più cari, - i Nadar, i Poulet-Malassis, i Jules Trubat e i Sainte-Beuve - frequentati e non frequentati nei momenti creativi, quando mi sono fatto lucidare le scarpe, ho sentenziato che Courbet fosse un pittore di tutto rispetto.
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