Una tempesta cozza contro il petto
la bruma si dispone come aureola sgargiante
il pondo richiama alla terra
e sulla terra di cui è figlio
si assesta saldo alla base.
Vorrei essere alto
alto sull’orizzonte come il cipresso
bruno e rappreso nella veglia.
Vorrei essere ampio come il pino
che acquieta le ombre
vorrei essere loquace e potente
come le chiome del rovere
lanceolato alle foglie.
Filamenti di stringhe odorose
cantano a lume pieno
la sarabanda del loro fulgore
si chiamano e centuplicano l’eco.
La nostalgia del ritorno
distilla piccoli dolori
dolori mansueti
catene come fili di ragno
e li asperge a mani piene
come nell’atto di condividere e spezzare il pane
nel giorno della carità clemente
con uomini santi e imbelli.
Non chiedermi d’essere terrigno
perché i lacci del pondo respingo
i lacci del ventre famelico rescindo
i lacci del sonno e della promessa mancata.
Alta sull’orizzonte
veleggia la prua che sfida nel cerchio
e nel cerchio sovrasta con legni d’avorio
sfavillante d’argenti battuti
i gorghi in ascesa.
Un nuovo mare di cirri e fondali
coralli e remiganti ali
varca il pensiero
nella vacuità eterna del cosmo.
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